L'olivo e l'olio.

In questa sezione del sito troverete una serie di miei articoli dedicati alla coltura dell'olivo, alle varietà, alla storia, all'olio da olive. Questi articoli sono sintesi di quanto già apparso su pubblicazioni, libri o siti web.

Buona lettura!

Antonio G. Lauro


Aspetti produttivi e caratterizzazione sensoriale delle principali cultivar di olivo calabresi.

L’olivo, pianta generosa e longeva, grazie alla sua capacità di rigenerarsi, si potrebbe quasi definire una pianta “magica”, “immortale”. Ed è questa sacralità che ha accompagnato, ed accompagna, strettamente la vita rurale calabrese.

Olive, olio, legno, foglie, rendono questo albero di grande importanza. Diventa alimento per il bestiame e medicamento ed unguento in erboristeria, luce nelle antiche lucerne, lubrificante per le antiche fabbriche, alimento ed ingrediente principale in cucina, calore e legno per le nostre case.

Il leggendario olivo e l’olio che se ne ricava dai suoi frutti, hanno accompagnato così fin dagli inizi la ruralità calabrese, dove il prezioso “oro verde” ha rivestito nella storia la stessa importanza del vino e del pane.

In Calabria, l’olivo arriva – o ritorna, secondo alcuni storici - con le navi dei primi coloni Achei che, nell’VIII sec. a.C., sbarcano nella zona compresa tra Kaulonia, Kroton e Sybaris, mentre i Locresi arrivano quasi contemporaneamente a Lokroi Epizephyrioi ed i Calcidesi a Rhegion.

Ma come attestano alcune evidenze archeologiche, la presenza dell’olivo in Calabria è ben più antica. Tali studi, retrodatano l’introduzione della coltivazione dell’olivo all’età del Bronzo recente (XIII-XII sec. a.C.) come emergerebbe dagli studi condotti negli scavi del centro protostorico di Broglio di Trebisacce (CS) ed in aree limitrofe. In questa area di scavo e studio, sono stati rinvenuti noccioli ed olive, nonché impronte di foglie di Olea europaea negli intonaci, e tracce di olio da olive all’interno dei caratteristici contenitori (pithoi). Tutto questo, daterebbe alla fine del secondo millennio a.C. la pratica dell’olivicoltura lungo la costa della Calabria. 

E da allora è stato un crescendo che ha portato, ai giorni nostri, a differenziare un patrimonio olivicolo calabrese che può contare su di un vasto germoplasma di almeno 33 cultivar di olivo, differenti per caratteristiche e zona di origine.

Così Borgese, Carolea, Cassanese di Lauropoli, Cerchiara, Chianota, Ciciarello, Corniola di Villapiana, Razza, Dolce di Rossano, Fecciaro, Fidusa, Grossa di Cassano, Grossa di Gerace, Mafra di Cerchiara, Melitana, Miseo, Napoletana, Nostrana di Amendolara, Ottobratica, Pargolea, Pennulara, Perciasacchi, Policastrese, Pugliasca, Rezza, Roggianella, Santomauro, Sinopolese, Squillaciota, Tombarello, Tonda di Strongoli, Tondina, Zinrifarica, impreziosiscono e caratterizzano tutta la penisola calabrese.

Carolea.

E’ d’obbligo iniziare questo viaggio nell’olio da olive calabrese partendo dalla sua cultivar più rappresentativa: la Carolea. 

Conosciuta anche con i sinonimi Becco di Corvo, Borgese, Catanzarese, Cumignana, Olivona, la Carolea è coltivata in tutte e cinque le province calabresi, ma è maggiormente presente in quella di Catanzaro, dove la diffusione complessiva è valutata nell'ordine dei 50.000 ettari. 

Concorre, quasi esclusivamente, sia nel determinare la varietà di riferimento della denominazione di origine protetta DOP Lametia (minimo 90%) e sia della denominazione di origine protetta DOP Alto Crotonese (min. 70%). Concorre, altresì, nella composizione varietale della DOP Bruzio - Menzione geografica “Valle Crati” in misura non inferiore al 50% e nelle menzioni “Fascia Prepollinica”, "Colline Joniche Presilane" e “Sibaritide”, dove questa può essere presente al massimo per un 30%.

Cultivar di media vigoria, assurgente, con densità medio folta della chioma. I rami fruttiferi sono mediamente assurgenti, il numero di rami anticipati è medio-elevato, la lunghezza media degli internodi è di 2,4 cm. Le foglie sono di dimensioni medio grandi, ellittico-lanceolate, di colore verde chiaro. Le infiorescenze sono piccole e compatte, con numero medio di fiori pari a 12, l'aborto dell'ovario oscilla tra il 10 e il 12%. Le drupe hanno un peso di 3,5 - 6 g a seconda della carica delle piante. La forma è ellissoidale, asimmetrica, con evidente umbone. A maturazione completa il colore dell'epidermide è nero lucido. Il rapporto polpa nocciolo è superiore a 5.

La Carolea come tutte le varietà antiche è costituita da una popolazione multiclonale, con differenze anche significative. La cultivar è praticamente autosterile, le varietà impollinatici sono l’Olivastro, la Romanella, la Nocellara messinese e l'Ottobratica. L'invaiatura è scalare, l'inoliazione è precoce, la resa in olio varia dal 20 al 25% a seconda dell'epoca di raccolta. Resistente al freddo e alla rogna è però molto sensibile all’occhio di pavone ed alle crittogame in genere; inoltre, è mediamente sensibile alla mosca delle olive ed alla tignola. Il legno è facilmente soggetto ad attacchi di Zeuzera pirina e fleotribo; resistente, invece, a Pseudomonas savastanoi e a Verticillium dahliae.

Le produzioni sono abbondanti e sono destinate prevalentemente all'oleificazione nonostante le buone caratteristiche merceologiche come oliva da mensa.

Si presta molto bene alla raccolta meccanica con l'uso di scuotitori. Le rese di raccolta variano dal 70 al 95%. L'epoca ottimale di raccolta varia da metà ottobre a tutto novembre per le olive destinate alla trasformazione, mentre deve essere anticipata per le olive da tavola. 

Profilo sensoriale caratteristico della varietà Carolea.

Oli caratterizzati all’olfatto da un livello medio di fruttato di olive verdi e lievi sentori di erba fresca e frutta, soprattutto di mela. Ancora sensazioni di erba/foglia e carciofo, con rimando al pomodoro ed alla mandorla fresca. Al gusto predomina la nota di amaro, con piccante e dolce più attenuati, con sensazioni retrolfattive di mandorla amara e noce. 

Grossa di Cassano (sinonimo: Cassanese, Precoce di Cassano).

Varietà di olive molto diffusa nella piana di Sibari in provincia di Cosenza e nella adiacente fascia collinare pre-pollinica, è stata introdotta anche in altri areali calabresi dove ha dato ottimi risultati produttivi al punto di raggiungere una diffusione pari a circa 6/7.000 ha. 

La varietà Grossa di Cassano, caratterizza la denominazione di origine DOP Bruzio - Menzione geografica “Sibaritide”, dove deve esse presente per almeno il 70% mentre, nelle menzioni geografiche "Valle Crati" e “Fascia Prepollinica”, questa percentuale si abbassa fino al 20%.

L'albero si presenta vigoroso, con portamento assurgente ed espanso, la chioma è medio-folta.

I rami fruttiferi hanno un portamento variabile con gli internodi di lunghezza media. Le foglie sono grandi, molto larghe ed ellittiche, il lembo è elicoidale-iponastico, il colore è verde intenso. Le infiorescenze sono grandi, rade, formate da circa 20 fiori, l'aborto dell'ovario è elevato e varia dal 50 al 70%. Le drupe hanno un peso medio di circa 4 grammi. La cultivar è autosterile, si impollina facilmente con la Tondina, la Santomauro e la Corniola. L'invaiatura è precoce e concentrata, l'inoliazione tardiva raggiunge massimo il 18% a dicembre inoltrato. E' molto resistente alle principali fitopatie di origine fungina, mentre è sensibile alle infestazioni daciche. Le produzioni unitarie sono abbastanza elevate, anche l'alternanza è contenuta. Le rese alla raccolta meccanica sono elevate. Il 90% della produzione è destinato alla oleificazione, la restante parte viene consumata come olive da mensa. La Grossa di Cassano, per la buona produttività, l'idoneità alla raccolta meccanica e l'elevata resistenza all’occhio di pavone si sta diffondendo in altri areali. Un aspetto negativo è legato alle rese in olio, estremamente basse con raccolte anticipate (max 10%).

Profilo sensoriale caratteristico della varietà Grossa di Cassano. 

Dal profumo intenso e persistente, nell’olio della Grossa di Cassano si individua un fruttato di oliva verde, con sentori erbe di campo e pomodoro acerbo. Bilanciate sono le sensazioni gustative, con un amaro e piccante di medio/bassa intensità, leggere impressioni di carciofo e nette percezioni di mandorla amara.

Ottobratica (sinonimo: Dedarico, Dolce, Mirtoleo, Ottobratico, Perciasacchi).

E' diffusa principalmente in provincia di Reggio Calabria (Piana di Gioia Tauro-Palmi) e in provincia di Vibo Valentia. Si riscontra sporadicamente nel versante ionico reggino e come impollinatore nella piana di Lametia Terme. La diffusione complessiva è di circa 20.000 ha. L'albero si presenta molto vigoroso, con portamento espanso assurgente e chioma fitta; le dimensioni delle piante a volte sono ragguardevoli. I rami fruttiferi hanno un portamento variabile, con internodi abbastanza lunghi. 

Le foglie sono di dimensioni medie, ellittiche, lembo piano o lievemente epinastico, il colore è verde intenso. Le infiorescenze sono medie, rade e con circa 15 fiori, l'aborto dell'ovario è variabile ed oscilla tra il15 e il 40 % dei fiori. Le drupe sono piccole (1,7 g), obovate ed allungate, asimmetriche e nere a piena maturazione. Il rapporto polpa nocciolo è inferiore a 4. L'indice di autofertilità è molto basso, per cui necessità di altre cultivar con cui è più frequentemente consociata come ad esempio la Sinopolese.

L'invaiatura è precoce e concentrata, l'inoliazione è tardiva e scalare, la resa in olio è media (17%), e raggiunge il massimo a fine dicembre. La cultivar è molto resistente alle avversità vegetali ed animali dell'olivo ad eccezione della lebbra. Le produzioni sono molto abbondanti ma comunque alternanti.

L'epoca ottimale di raccolta è a fine ottobre inizi di novembre. Le rese e la capacità di lavoro con gli scuotitori sono modeste. Ultimamente nell'areale di origine è stata molto rivalutata.

Profilo sensoriale caratteristico della varietà Ottobratica. 

L’Ottobratica presenta un olio dal fruttato medio-intenso di olive colte verdi, con sentori di mela e mandorla che si fondono alle leggere sensazioni di erba, carciofo e frutti verdi. 

Sensazione di gusto equilibrato con un amaro e piccante intenso e rimandi alle verdure cotte, al carciofo ed alla mandorla amara.

Tonda di Strongoli

La Tonda di Strongoli conosciuta con i suoi sinonimi Olivo di Pentone, Strongolese, Tonda di Filadelfia, Tonda di Filogaso, viene coltivata nella parte settentrionale della provincia di Crotone, ed è presente sporadicamente in altri areali investendo una superficie di circa 4.000 ha. 

Questa varietà, concorre per un massimo del 30% alla denominazione di origine protetta DOP Alto Crotonese.

L'albero è di modesta vigoria, ha un portamento assurgente-espanso e chioma mediamente folta. I rami fruttiferi hanno un portamento variabile tendente al pendulo, internodi corti e rami anticipati scarsi. Le foglie sono di medie dimensioni, lanceolate, con il lembo piano di colore verde chiaro. Le infiorescenze sono piccole e compatte, con numero medio di fiori pari a 15; l'aborto dell'ovario varia dal 30 al 40% dei fiori. Le drupe hanno dimensione grandi o molto grandi, con peso che varia da 4 a 6 g, hanno forma tra l'ovoidale e lo sferoidale, lievemente asimmetrica, nere a maturazione; il rapporto polpa nocciolo è maggiore di 5. La cultivar è parzialmente autofertile.

Invaiatura ed inoliazione si svolgono in epoca intermedia, fine ottobre inizi novembre e sono alquanto concentrate. La resa media in olio raggiunge il 18%. Particolarmente sensibile alla rogna e alle infestazioni daciche. Le produzioni unitarie sono medie ed alternanti. Le olive vengono quasi tutte oleificate, solo il 3% viene destinato al consumo diretto. L'epoca ottimale di raccolta è novembre inizio di dicembre.

Profilo sensoriale caratteristico della varietà Tonda di Strongoli. 

Al naso si percepiscono leggere espressioni di fruttato di oliva, erba e frutti acerbi e leggeri sentori di pomodoro ed erbe aromatiche. Al gusto è fine e persistente, con piacevoli note di dolce ed amaro, mentre il piccante deciso ricorda il peperoncino. Ancora sensazione di frutta secca (nocciola e mandorla fresca) in chiusura.

Roggianella (sinonimo: Amaro, Rotondella, Roggianese, Spezzanota, Tondina, Vernile).

Questa varietà, partecipa alla denominazione di origine protetta "Bruzio", accompagnata dalla menzione geografica "Fascia Prepollinica", dove deve essere presente in misura non inferiore al 50%, mentre nella menzione geografica "Valle Crati" e "Sibaritide", la Tondina è presente in misura non superiore al 30%.

Diffusa principalmente nella provincia di Cosenza, tra lo Jonio, la fascia Prepollinica e Pollinica e l’Alto Tirreno, si ritrova come piante sparse (impollinatrici) negli areali di diffusione della “Grossa di Cassano”, e della “Dolce di Rossano”; il totale stimato della diffusione è intorno ai 10.000 ha. 

Pianta di bassa vigoria con portamento principalmente espanso. Foglia lanceolata, piccola, di colore verde chiaro. Frutto di forma sferica, calibro medio/grosso (3 - 4 g), a completa maturazione è di colore nero ed è destinato alla produzione di olio. La foglia è lanceolata piccola (lunghezza 3,5 – 5 cm) di colore verde scuro sulla pagina superiore, argentata nella pagina inferiore.

La produttività è elevata. La resa in olio è del 18%. Varietà di elevata rusticità, autofertile, con fruttificazione abbondante e costante, è resistente all'occhio di pavone, alla rogna e alla mosca. 

Profilo sensoriale caratteristico della varietà Roggianella. 

Fruttato di oliva verde di media intensità, con sensazioni leggere di mandorla, erba fresca e carciofo. Sensazioni gustative equilibrate, con amaro e piccante di media intensità, decisi e persistenti, con sensazioni prevalenti di mandorla fresca e frutti di bosco.

Dolce di Rossano (sinonimo: Dolce, Rossanese).

Ritroviamo questa varietà prevalentemente nella denominazione di origine protetta DOP Bruzio - Menzione geografica “Colline Joniche Presilane” (minimo 70%), nelle menzioni “Sibaritide” (massimo 30%) e “ Valle Crati” (massimo 20%), nonché nella denominazione di origine protetta DOP Alto crotonese dove la presenza massima consentita è del 30%..

Varietà presente in quasi tutta la provincia di Cosenza, con maggiore diffusione nel versante Jonico, da Rossano a Cirò, è presente e caratterizza circa 20.000 ha di superfice olivetata regionale. 

Pianta di elevata vigoria e portamento assurgente, con foglia ellittico-lanceolata di media grandezza e di colore verde intenso. Il frutto, a maturazione tardiva, è di forma sferoidale, medio/piccolo (2 g), a maturazione è di colore nero vinoso, destinato principalmente alla produzione di olio. La produttività è alternante con una resa in olio superiore al 20%. E’ una varietà autocompatibile, sensibile alla mosca e all’occhio di pavone. 

Profilo sensoriale caratteristico della varietà Dolce di Rossano. 

Olio extravergine di oliva caratterizzato, da un livello medio di fruttato di olive colte al giusto memento di maturazione. Leggere sensazioni di erba/foglia di olivo, carciofo e pomodoro ne completano il profilo aromatico. In bocca subito dolce, con un livello leggero di amaro e piccante, con sentore prevalente di mandorla fresca e pinolo. 

Grossa di Gerace (sinonimo: Geracese, Geracitana, Paesana, Dolce di Gerace, Mammolese, Oliva grossa, Oliva di Bianco, Paesana).

E’ presente esclusivamente sul versante Jonico della provincia di Reggio C., da Monasterace a Brancaleone ed ha la sua massima diffusione in agro di Gerace e Locri. La diffusione complessiva è dell’ordine di 7/8.000 ha.

L’albero è di vigore elevato e portamento assurgente e chioma relativamente folta. I rami fruttiferi hanno portamento in prevalenza assurgente con internodi corti (1,8 cm) e numero di rami anticipati medio-elevato. Le foglie sono di medie dimensioni, ellittico-lanceolate, lembo piano-iponastico e di colore verde intenso. Le infiorescenze sono piccole e compatte ed hanno un numero medio di fiori pari a 13; l’aborto dell’ovario è risultato in media del 20%. 

Le drupe sono di dimensioni medio-piccole (peso di 2,3 - 3 g), hanno forma obovata, leggermente asimmetrica; a maturazione completa il colore è nero vinoso. Il rapporto polpa/nocciolo è risultato di poco superiore a 4. 

La Grossa di Gerace mostra una parziale autofertilità; la cultivar che più frequentemente si ritrova consociata per incrementare l’allegagione è la Sinopolese. L’invaiatura è scalare, così pure l’inoliazione che supera il 20% in dicembre. Localmente è apprezzata anche come oliva da tavola verde o nera. Relativamente bene adattata al clima caldo-arido dell’areale di coltivazione, risulta poco colpita dall’occhio di pavone e dalla rogna.

Profilo sensoriale caratteristico della varietà Grossa di Gerace.

Fruttato di oliva medio-alto, con sentori di foglie ed erba, Sensazione di gusto equilibrato con amaro e piccante medio-alti. Medio-alta fluidità.

Al naso offre sensazioni fruttate di leggera intensità, abbastanza persistenti, con sentori di foglia di olivo, erba e piacevoli sensazioni di carciofo e pomodoro.

Al palato mostra una struttura dolce ed avvolgente, con attenuati livelli di amaro e piccante. Mandorla e noce in chiusura.

Sinopolese (sinonimo: Calabrese, Chianota, Coccitana, Pianota, Pizzocorno, Scialoria, Seminarota).

E’ diffusa quasi esclusivamente nella provincia di Reggio Calabria, soprattutto sul versante tirrenico della Paina di Gioia Tauro-Palmi, e si stima una superficie investita di circa 20.000 ha.

L’albero ha portamento maestoso, è molto vigoroso, decisamente assurgente (raggiunge altezze fino a 25 m), presenta chioma folta ed ovale, con rami penduli e sottili. I rami fruttiferi hanno portamento pendulo-variabile, lunghezza degli internodi superiore a 2,5 cm, rami. Le foglie sono di dimensioni medie, ellittico-lanceolate e di colore verde lucente chiaro. Le infiorescenze sono abbastanza grandi, con un numero di fiori variabile da 15 a oltre 20, con aborto dell’ovario è bassissimo. Le drupe sono piccole (peso medio 1,0-2,9 g), oblunghe, con apice arrotondato e di colore nero-violaceo a piena maturazione; il rapporto polpa/nocciolo è sempre inferiore a 4. La produttività è elevata ed alternante, con una resa in olio varia dal 17 al 19%.

Il grado di autosterilità della “Sinopolese” è elevato, le cultivar utilizzate come impollinatrici sono soprattutto la Ottobratica e la Grossa di Gerace. 

La cultivar mostra resistenza alla siccità e al freddo mentre è sensibile all’occhio di pavone, alla lebbra, nonché agli attacchi della mosca olearia.

Profilo sensoriale caratteristico della varietà Sinopolese.

Fruttato di oliva medio, con sentori di mandorla, banana acerba carciofo e pomodoro. Sensazione di gusto equilibrato con amaro medio-alto e piccante medio-leggero. Fluidità media.

Pennulara (sinonimo: Caccuri, Nostrale di Caccuri).

Varietà autoctona calabrese diffusa solo nell'areale dell'alto crotonese compreso tra Savelli e Cotronei, è presente nella denominazione di origine protetta DOP Alto crotonese nella percentuale massima consentita del 30%.

Pianta di medie dimensioni, con portamento pendulo, presenta foglie lanceolate di colore verde chiaro. Il frutto è medio/grande, di forma ellittico-ovoidale, dal peso compreso tra 4,5 e 7 g, di colore nero intenso con riflessi violacei a totale invaiatura. Cultivar a duplice attitudine (olive da mensa/da olio), presenta una resa media in olio che varia dal 14,5 al 19,5%. La Pennulara è parzialmente autofertile, e la varietà da utilizzate come impollinatrice è la Carolea. 

La cultivar mostra resistenza una buona resistenza al freddo ed alla siccità, mentre è sensibile all’occhio di pavone, alla rogna ed agli attacchi della mosca delle olive.

Profilo sensoriale caratteristico della varietà Pennulara.

Fruttato di oliva di media intensità che ricorda le olive colte verdi. A completare il profilo olfattivo sentori di erba appena falciata, leggere sensazioni di cuore di carciofo e foglia di olivo. Buona fluidità in bocca, al gusto è equilibrato nei toni dell’amaro e del piccante, di media intensità, stemperati nella lieve dolcezza finale della frutta. Ancora carciofo e copiosa frutta secca (noce e mandorla amara) a chiudere la conduzione gustativa.

Ciciarello (sinonimo: Olivo amaro, Ciciareddu). 

E' presente nella piana di Gioia Tauro e, in misura minore, nell’areale vibonese ed è impiegata come impollinatore. Albero di notevoli dimensioni e portamento assurgente, con foglia ellittico - lanceolata, piccola, di colore verde scuro. Le infiorescenze presentano dimensioni medie con 18-20 fiori per mignola. La drupa, di forma ellissoidale e di piccole dimensioni (1,6 - 1,7 g) è di colore nero con riflessi rossastri a completa invaiatura. La produzione, alternante, è destinata alla produzione di olio, con una resa che può raggiungere il 18%. Cultivar autoincompatibile, resistente alla siccità e all’occhio di pavone, molto soggetta agli attacchi della mosca delle olive. 

Profilo sensoriale caratteristico della varietà Ciciarello.

Fruttato medio di olive verdi, con sentori evidenti di mandorla, erba e carciofo. Equilibrato al gusto, con una sensazione marcata di piccante ed amaro, con finale di mandorle.

di Antonio Giuseppe Lauro et al.. Olivum Nostrum. Carrello degli Oli ExtraVergini di Calabria. Regione Calabria 2014.


Bibliografia:

Alfei B., Magli M., Rotondi A., Pannelli G.. Banca dati degli oli monovarietali italiani. Agenzia Servizi Settore Agroalimentare Marche (ASSAM) Ancona e Istituto di Biometeorologia (IBIMET sezione di Bologna) del CNR. www.olimonovarietali.it.

Celant A.. Appendice 2 : risultati delle indagini paleobotaniche eseguite su impronte e resti vegetali incombusti relativi a frammenti di intonaco di capanna e di fornelli dell'abitato protostorico di Broglio di Trebisacce (CS).

Franco R., Lauro A. G., Orlando C. et al.. Gli Extravergini calabresi. Guida agli oli regionali di qualità. Anno 2005/2006/2007/2008.

Franco R., Lauro A. G., Orlando C.. La caratterizzazione sensoriale delle cultivar calabresi. (In corso di pubblicazione).

Lombardo N., Perri E., Muzzalupo I., Madeo A., Godino G., Pellegrino M.. Il germoplasma olivicolo calabrese. ISOL Rende.

Mincione B. et al.. Carolea. Collana monografica su le produzioni alimentari tipiche del mezzogiorno d’Italia. Laruffa Editore.

Mincione B. et al.. La produzione delle olive da mensa nel basso tirreno reggino. Collana monografica su le produzioni alimentari tipiche del mezzogiorno d’Italia. Laruffa Editore.

Muzzalupo I.. Il germoplasma olivicolo italiano. 2014, CRA.

Parlati M. V., Perri E., Rizzuti B., Pellegrino M.. Caratterizzazione della Cv. Pennulara o Nostrale di Caccuri. Atti del 5° Convegno nazionale sulla biodiversità. Caserta, 9 e 10/09/1999. 


La Piana di Gioia Tauro-Palmi: il regno degli olivi più grandi del mondo.

La Piana di Gioia Tauro-Palmi (prov. di Reggio Calabria) che abbraccia sia il territorio degli omonimi comuni e sia quello di altri 31 paesi, è fortemente caratterizzata dalla presenza della coltura dell'olivo, che in questo territorio cresce con enorme vigore soprattutto con le varietà locali, "Sinopolese" ed "Ottobratica", e segna in maniera inconfondibile il paesaggio rurale. Il 70% del territorio pari a circa 30.000 ettari, con oltre 2.342.000 piante di olivo è interessato da questa attività produttiva e che incide profondamente sull'economia dell'intera zona.

Qui l'olivicoltura rappresenta una sorta di monumento ambientale che molto contribuisce alla caratterizzazione e alla valorizzazione del territorio agrario circostante.

Per la notevole importanza economica e sociale posseduta, la coltura dell'olivo è costantemente 

al centro dell'attenzione da parte degli olivicoltori, di politici, economisti e studiosi di scienze agronomiche, ambientali, sociali, antropologiche, geografiche, con la constatazione univoca che si è creato, nel corso dei secoli, in questo territorio, un sistema olivicolo che, per le caratteristiche morfologiche e ambientali non comuni, possiamo dire che è unico al mondo.

Enormi pachidermi vegetali, con imponenti strutture arboree identificano il misterioso fascino dei luoghi. La maestosità degli alberi, con il verde argentato delle foglie e i grandi tronchi intrecciati che si coniugano in maniera indissolubile alla morfologia del territorio dove, nel corso dei millenni le varietà di olivo si sono differenziate ed evolute, hanno spinto numerosi studiosi ad occuparsi di questo sorprendente areale, crogiolo di storia, cultura, arte, tradizioni che si fondono in un tutt'uno con l'ambiente in cui l'olivo si erge a protettore, diventando, geloso custode di secolari segreti.

Non è possibile stabilire con buona precisione l'origine del "bosco degli ulivi", è fattibile invece determinarne l'evoluzione subita nel corso del tempo, a seguito della quale oggi si ha nella Piana la presenza di due areali: la bassa Piana, fino all'altezza di 320 metri s.l.m.; la parte collinare della Piana, fino ai bordi del Parco Nazionale dell'Aspromonte, a circa 600 metri di quota, dove gli olivi hanno un indubbio grande significato ambientale e storico su terreni terrazzati o in pendenza.

In queste zone il paesaggio olivicolo ha un carattere per molti versi unico, che gli è conferito dalla eccezionale età delle piante e, insieme, dalla fittezza della copertura vegetale; l'associazione di questi due fattori dà luogo a veri e propri boschi di ulivi, nei quali si riscontrano alberi con altezze imponenti (15-20 metri) e sezione al tronco di notevole superficie, estesa fino a 13 mq. Una delle massime espressioni della maestosità delle piante è possibile trovarla nell'azienda Guerrisi, nel Comune di Cittanova qui, in questo luogo meraviglioso ed incantato, esiste una pianta che ha una ragguardevole circonferenza del tronco di ben 16 metri, e un'altezza della chioma che sfiora i 30 metri. Tutto il territorio si presenta come una grande estensione monocolturale ed è il frutto di una lenta opera di bonifica da parte dell'uomo, che nel tempo ha conquistato ad un'agricoltura produttiva un territorio inospitale. Olivi secolari, più o meno antichi, sono presenti in tutti i comuni della Piana, anche in quelli non spiccatamente olivicoli. Essi hanno resistito, grazie anche alla longevità della specie a molte delle calamità naturali che nel corso della storia si sono succedute in questa zona. Per alcuni di questi oliveti la funzione dovrebbe essere complementare o alternativa alla funzione produttiva. E' necessario avviare delle iniziative necessarie per la conservazione degli "olivi ultrasecolari" e del relativo paesaggio rurale, inserendoli possibilmente in un circolo virtuoso di sviluppo, legato all'attivazione di tutte le componenti sociali, economiche e culturali che coinvolgono il sistema produttivo e culturale calabrese. Per queste piante è necessario studiare interventi tecnici tesi ad agevolare le operazioni colturali ed a incrementare la produzione, salvaguardando l'integrità delle piante. Idonei sono anche gli interventi di restauro e messa in sicurezza degli alberi monumentali.

Si dovrebbero sostenere le funzioni non produttive dell'olivicoltura da tutelare sostenendo e riconoscendo il ruolo degli agricoltori che con il loro lavoro, proteggono beni e valori che possono diventare di interesse collettivo. Per gli oliveti secolari della Piana di Gioia Tauro-Palmi, è opportuno avviare una indagine sul territorio, una valutazione della loro diversità, tipicità, integrità, rarità fino a disporre di un inventario dei paesaggi attraverso il quale sia possibile individuare quali devono essere conservati come "paesaggio museo", testimonianze viventi della civiltà olivicola calabrese, quali invece vanno guidati nella loro evoluzione tecnica mantenendo quella multifunzionalità produttiva, ambientale e culturale che è propria della loro storia e quali debbano essere riconvertiti.

Il paesaggio olivicolo della Piana, come elemento originale ed unico, può rappresentare per gli olivicoltori un valore economico, basta saperlo legare ad interessi commerciali, alle tradizioni locali e alle volontà politiche, situazioni indispensabili per costruire un futuro per questo patrimonio.

 

Bibliografia:

Antonio G. Lauro et al., Gli Extravergini Calabresi - Guida agli oli di qualità (2008).


L'olivo e l'olio: sviluppo della civiltà mediterranea.

L'olivo, maestosa pianta da frutto, è da sempre ritenuto il simbolo del bacino del Mediterraneo. Il leggendario albero e l'olio ricavato dai suoi frutti hanno accompagnato, fin dagli albori della civiltà, la storia dell'intera umanità.

Già nel IV millennio a.C., in piena età del rame, l'olivo era conosciuto in Medio Oriente, ma le prime coltivazioni si ebbero molto probabilmente a cura delle popolazioni camitico-semitiche stanziate in una regione compresa tra i rilievi a sud del Caucaso (Acrocoro Armeno, Pamir e Turkestan), le pendici ovest dell'Altopiano Iranico e le coste della Siria e della Palestina (Canaan). Qui cominciò il lungo processo di addomesticamento dell'olivo; si iniziò a selezionare le varietà a frutti grandi, scoprendo che se ne poteva ricavare un liquido, untuoso, dai molteplici usi.

Dopo Siria e Palestina, la coltivazione si estese in Egitto (XIX Dinastia - 1300 a.C.) dove l'albero d'olivo, era considerato dono degli dei. Nel culto dei morti, infatti, corone d'olivo e di nòccioli furono ornamenti dei re nelle tombe Egizie e l'olio d'oliva, rappresentante purezza e dignità, usato per ungere i corpi da mummificare.

In seguito, l'olivo conquistò le coste dell'Asia minore, le isole greche, le coste italiane, la penisola iberica ed il nord Africa: in definitiva, il culto legato all'olivo fu così consacrato da tutte le religioni.

Come risulta dal codice di Hammurabi del 1780 a.C., l'olivo fu conosciuto ed apprezzato anche dai Babilonesi; ma furono proba- bilmente i coloni Fenici (X - VIII sec. a.C.), originari degli odierni Libano ed Israele, che in seguito diffusero grazie ai loro traffici commerciali, perlopiù marittimi, questa coltivazione su tutte le coste del “mare nostrum”, dell'Africa e del Sud Europa.

A Creta, si sviluppò la prima olivicoltura. Nei labirinti del grande palazzo-città di Cnosso, abitato secondo la leggenda dal Minotauro, sono stati rinvenuti depositi di anfore fittili, grandi recipienti ceramici detti pithoi, mentre rappresentano vere e proprie biblioteche, le tavolette d'argilla che rivelano i luoghi di coltivazione dell'olivo e la destinazione dell'olio; gli affreschi del palazzo costituiscono le prime rappresentazioni dell'olivo nella storia. L'importanza dell'olio d'oliva presso i Fenici ed i Greci era evidente al punto, che speciali navi, dette “navis onerarie”, erano costruite per il trasporto in anfore del prezioso liquido. L’olivo in Africa arriva nell'VIII secolo a.C. e già nel V sec. a.C. Erodoto (490 - 430 a.C.) racconta di oliveti coltivati a Cartagine ma che non producevano sufficiente olio da coprire il fabbisogno interno. L'importanza dell'olio d'oliva in quella regione, è confermata dall'agronomo Magone Cartaginese (II sec. a.C.) nel suo “L'agricoltura”, i cui studi furono in seguito ripresi da Columella, Plinio il Vecchio e Varrone.

Portato in Italia dai coloni Greci (VIII sec. a.C.), l'olivo fu coltivato dagli Etruschi già nel VII sec. a.C.. Furono però i Romani che provarono a coltivare, in ogni territorio conquistato, questi frutti polivalenti ed in molti casi ordinarono, alle popolazioni conquistate, il pagamento dei tributi sotto forma di olio di oliva.

Fu così che a Roma nacque una borsa merci dell'olio, dove commercianti ed importatori, riuniti in appositi collegi, trattavano prezzi e quantità dell'olio proveniente dall'Impero: l'Arca Olearia.

In Calabria, l'olivo “sbarca”, per mano dei primi coloni Achei nell'VIII sec. a.C., nella zona compresa tra Locri, Crotone e Sibari, anche se, recenti studi smentiscono tali ipotesi ed indicano che già nell'età del bronzo, l'olivo fosse coltivato in Calabria.

L'olio d'oliva era considerato un importante simbolo di ricchezza, al punto che sulle prime monete coniate a Kroton (odierna Crotone) ne era raffigurato l'albero.

A seguito della caduta dell'Impero Romano e delle invasioni barbariche, giunsero tempi poco favorevoli per il consumo dell'olio e la coltivazione dell'olivo. Si contrassero le aree adibite all'olivicoltura, a favore dei cereali di base e della vite, ci si avviò verso uno scadimento delle tecniche colturali (semi-inselvatichimento) e ci fu la riconquista del suolo da parte del bosco. Solamente nel tardo Medioevo (XII sec.), la coltura dell'olivo si ridiffuse in tutta Italia, grazie all'opera di alcuni Ordini Monastici (Monaci Cistercensi e Benedettini), con la creazione delle fattorie conventuali, protette dal “timore di Dio”. Contem-poraneamente, le Repubbliche marinare di Genova e Venezia favorirono il commercio dell'olio oltre l'area mediterranea.

Il prodotto, grazie alle forti richieste dei mercati Europei, diviene d'importanza strategica per il Meridione d'Italia, che aumenterà gli impianti d'olivo per una produzione destinata all'esportazione.

Nell'età Bizantina, con una popolazione ridotta in numero, l'olivicoltura riparte grazie all'opera ed all'impegno dei Monaci Basiliani, giunti in Calabria dalle sponde orientali del Mediterraneo, ancora coltivate. La rinascita è lenta, ed a causa degli impaludamenti costieri, fonte di malaria, l'olivo deve risalire la collina. A partire, poi, dall'ultima età bizantina e dalla conquista normanna, comincia lo scontro con il gelso, che pretende il posto dell'olivo: la Calabria diviene così la centrale Europea della seta.

Occorrerà aspettare il XVII secolo per assistere al “rinascimento” dell'olivicoltura, in conseguenza della crisi del grano e del gelso, ed in risposta alla crescente richiesta di olio da parte dei paesi stranieri, le superfici investite ad olivo aumentano di nuovo in misura considerevole. Con la scomparsa del feudalesimo e la nascita del libero mercato, l'olivo diventa una caratteristica paesaggistica dell'Italia Meridionale, nonché di tutte le terre affacciate sul bacino del Mediterraneo.

L'olio d'oliva diventa così la principale produzione del Regno di Napoli e l'economia Calabrese è punto di forza del commercio mondiale.

In pieno Settecento, con l'allargarsi della Rivoluzione commerciale, la produzione olearia riparte fortemente. Notizie sul tipo di olivicoltura praticata nella piana di Palmi, nella seconda metà del '700, è contenuta negli scritti del marchese Grimaldi di Seminara, che fu il primo ad occuparsi dei problemi della nostra agricoltura con fervore illuministico e che si adoperò per introdurre numerose innovazioni riguardanti sia la coltivazione dell'olivo che la trasformazione delle olive in olio. Intorno al 1750 furono impiantati nuovi oliveti nelle zone pianeggianti, con sesti regolari, anche se ancora con distanze troppo ravvicinate.

Nel 1861, la diffusione degli olivi nella piana di Gioia Tauro era così elevata che il Pasquale, nella sua relazione sullo stato fisico economico agrario della prima Calabria Ulteriore, la descrive come “la regione degli uliveti”.

A dimostrare il grande interesse delle Istituzioni nei confronti dell'olivo vi fu nel 1890, la creazione, a Palmi (RC), della Stazione Sperimentale di Olivicoltura e Oleificio; voluta dal Ministero dell'Agricoltura per suggellare un legame diretto tra produzione e ricerca, in una parte della Calabria dove la coltura dell'olivo, in seguito alla sua continua espansione, ne aveva fortemente caratterizzato il paesaggio.

Infine, con la rivoluzione industriale del XIX secolo, passando per il Risorgimento, l'unificazione nazionale e le grandi guerre, l'olivicoltura viene “protetta” e “difesa”, salvaguardando un prodotto di cui l'Italia è il più pregiato produttore al mondo.


Dr Antonio Giuseppe Lauro et al.. Gli Extravergini Calabresi - Guida agli oli di qualità (2008)