10 sgradevoli sensazioni che non devono esserci in un olio da olive di qualità

Dopo oltre vent’anni dedicati all’analisi sensoriale degli oli extravergini di oliva e passati ad assaggiare le eccellenze olearie provenienti tanto dal “nostro” emisfero nord, quanto dal “nuovo” emisfero sud, provo a rispondere ad una domanda intrigante: “quali sono le 10 sgradevoli sensazioni che non devono esserci in un Olio EVO di qualità”.

Ecco qui descritte le 10 peggiori sensazioni che si possono riscontrare in un olio vergine di oliva”.

La norma internazionale chiarisce, senza dubbio alcuno, quali sono le caratteristiche – chimiche e sensoriali - di un olio extravergine di oliva, proteggendolo da possibili frodi alimentari.

E se l’acidità, nell’immaginario collettivo, rappresenta l’unico indice di paragone per discriminarne la categoria merceologica, oggi (e dal 1991) è universalmente riconosciuto che un olio che presenta anche leggeri difetti all’assaggio, perda irrimediabilmente il termine “extra”, accontentandosi di essere declassato nella categoria “vergine” o addirittura divenire “non commestibile” e da inviare alla rettificazione, quando il difetto è evidente, in quanto si tratta di olio lampante.

Ma perché, ed in quali condizioni, un Olio EVO può perdere le caratteristiche qualitative che lo rendono, in assoluto, il miglior grasso per la nostra alimentazione?

Provo a rispondere alla prima domanda.

Una scorretta gestione delle olive, all’interno della filiera, è spesso causa di gravi alterazioni (ossidazioni e fermentazioni) che si riflettono sia sul profilo chimico e sia sul profilo sensoriale di un olio. Tali alterazioni (difetti) sono si formano nell’olio al momento della lavorazione e con il tempo aumentano di intensità. In alcuni casi, un difetto di lieve intensità, può non essere chiaramente percettibile subito dopo l’estrazione in quanto i sapori ed i profumi (Cfr. 10 gradevoli sensazioni dell’olio EVO di qualità) sono ancora molto intensi e tendono a coprirlo. Con lo scorrere del tempo, inesorabilmente, il difetto tenderà ad aumentare di intensità, passando da lieve a grave, a scapito del profilo sensoriale dell’olio stesso.

Una non corretta gestione delle olive, all’interno della filiera, è spesso causa di gravi alterazioni (ossidazioni e fermentazioni) che si riflettono sia sul profilo chimico e sia sul profilo sensoriale di un olio.

Olive non sane, troppo mature o raccolte con metodi inappropriati, possono già causare alterazioni sull’olio prodotto, proprio come accade alle olive che stazionano per molte ore – o addirittura giorni – dopo la raccolta e prima che arrivino al frantoio per l’estrazione.

Anche la lavorazione delle olive se non effettuata correttamente, può influire negativamente sulla stabilità dell’olio di oliva. Problematica ampiamente superata grazie all’introduzione di moderni frantoi, il cui ciclo è basato sul criterio della lavorazione continua, ossia dove tutte le fasi che vanno dalla frantumazione delle olive alla separazione dell’olio dalle impurità, si succedono in continuità senza attese e soste.

Solamente nel caso di imperizia, o di lavorazioni errate, l’olio subirà gravi alterazioni. Diventano così essenziali le fasi quali pulizia delle olive da foglie, rametti e corpi estranei e di lavaggio, come pure il rispetto dei tempi (brevi) di lavorazione, delle temperature (corrette, mai troppo elevate), dell’aggiunta di acqua (bassissima o nulla) e del contatto con l’ossigeno (da prevenire sempre) nel corso del ciclo di estrazione.

Ma l’attenzione e la cura prestata in modo così maniacale alle olive, deve essere applicata anche all’olio prodotto.

Diventa essenziale procedere immediatamente alla filtrazione dell’olio, al fine di rimuovere eventuali parti estranee (morchie) non correttamente eliminate nelle fasi di estrazione in oleificio e così avviare una corretta conservazione del prezioso liquido.

La conservazione dell’olio da olive è sicuramente una delle fasi più importanti della catena, visto che tale operazione permette la stabilità del prodotto nel tempo. Un’errata o non idonea conservazione – in frantoio come a casa - può comportare seri problemi al nostro olio, mettendo a rischio anche la commestibilità dello stesso.

Al fine di conservare perfettamente l’olio, occorre conoscerne i nemici: ossigeno, luce, calore e tempo.

Ossigeno. Per evitare il contatto con l’ossigeno, e quindi la conseguente ossidazione, l’olio EVO va riposto in recipienti ben chiusi e ricolmi, per ridurre al minimo il contatto con l’ossigeno atmosferico. I produttori si faranno carico di usare contenitori ben chiusi, sostituendo l’ossigeno all’interno dei recipienti con un gas inerte (argon o azoto) ed anche a casa, una volta aperta una bottiglia, possiamo evitare l’ossidazione semplicemente richiudendola dopo ogni utilizzo.

Luce (e raggi U.V.). L’olio conservato in ambienti illuminati, alla luce o in contenitori trasparenti, può andare incontro ad una sostanziale perdita di sostanze antiossidanti, in particolare tocoferoli ed a un aumento dell'irrancidimento causato dall’attivazione di enzimi che degradano l’olio stesso.

Calore. Alle basse temperature l'olio tende a solidificare perdendo, in parte, le proprie caratteristiche nutrizionali e organolettiche. L’esposizione ad un calore eccessivo, di contro, provoca gravi alterazioni nella struttura del prodotto.

I produttori, conserveranno l’olio – come detto – ad una temperatura compresa tra i 12 ed i 16/18°C, al riparo da luce ed ossigeno, utilizzando locali climatizzati a temperatura ed umidità controllata. A casa, è sconsigliato di tenere l'olio vicino ai fornelli o ad altre fonti di calore primarie e secondarie.

Tempo. Contrariamente a quanto accade con alcuni vini di qualità, l’olio EVO non si conserva a lungo. Vale sempre il detto popolare “olio nuovo e vino vecchio”, a significare che la vita del nostro olio EVO è ben definita e non procrastinabile (circa 18 mesi dalla data di produzione, in funzione delle tecniche utilizzate per la produzione/estrazione e dipendenti dalla varietà), ma che si accorcerà inesorabilmente qualora non vengano rispettati gli altri parametri sopra indicati.

Quali sono le più comuni sensazioni sgradevoli (difetti o attributi negativi) che non devono mai esserci in un olio da olive di qualità?

Occorre partire dall’assunto che l’olio EVO è una “spugna”, capace di assorbire odori e sapori sgradevoli dall’esterno o da sostanze estranee con cui entra in contatto.

Il termine difetto (dal latino defectus, il venir meno, mancanza), fa riferimento ad una serie di modificazioni peggiorative riguardanti essenzialmente le caratteristiche organolettiche di un prodotto.

Se è vero che questi difetti sono facilmente individuabili da professionisti assaggiatori in sede di degustazione professionale (panel test), anche un semplice consumatore può facilmente riconoscere la presenza di difetti in un olio, dovuti proprio alla “mancanza” delle sensazioni positive che contraddistinguono un olio di qualità, che vanno ricercati (Cfr. 10 gradevoli sensazioni dell’olio EVO di qualità). Un olio pulito e di qualità deve presentare all’assaggio solo note positive e piacevoli e non sensazioni che ricordano il rancido, il vino o l’aceto, i frutti ammuffiti, i “calzini sporchi” o l’odore di “frantoio”.

Ricordo che proprio a protezione dei consumatori, tutti gli oli da olive che sottoposti all’esame del panel test presentano difetti, vengono declassati a olio “vergine” di oliva (difetto lieve) o olio “lampante“ (difetto grave).

Tra i tanti attributi negativi – o difetti - dell’olio da olive, descritti dal Consiglio Oleicolo Internazionale, organizzazione intergovernativa e internazionale nel settore dell'olio di oliva con sede a Madrid, faremo un focus sui 10 difetti più comuni e maggiormente impattanti con la qualità finale del nostro “oro liquido”.

Una premessa: alcuni di questi cattivi odori e sapori disgustosi sono sicuramente accettati come tali, mentre altri sono così comuni da risultare familiari e, sbagliando, piacevoli.

1) Rancido. Difetto degli oli che hanno subito un processo ossidativo intenso. E’ un difetto difficilmente eliminabile e ricorda il sapore di salumi irranciditi, dei pastelli a cera (crayons), o la cera delle candele.

2) Riscaldo. Sapore che assume l’olio ottenuto da olive conservate in condizioni che hanno favorito una fermentazione anaerobica e che ricorda il penetrante odore di calzini sporchi, contenitore dell’umido, patè di olive o olive infornate.

3) Morchia. Sapore dell'olio rimasto in contatto prolungato con le cosiddette morchie (fanghi di decantazione che si depositano sul fondo dei serbatoi di conservazione), che abbiano anch'essi subito processi di fermentazione anaerobica. La modificazione del sapore è anche in questo caso dovuta ad una fermentazione delle morchie le quali a contatto con l’olio sovrastante liberano delle molecole aventi sapori sgradevoli.

4) Avvinato/Inacetito. Sensazione olfattiva e/o gustativa caratteristica di alcuni oli che ricorda quello del vino andato a male, di un aceto scadente, uno smalto o acetone. Molti consumatori assimilano questo particolare difetto al sapore della classica insalata verde condita con aceto.

A causarlo un processo di fermentazione degli zuccheri delle olive in presenza di ossigeno che fermentando portano alla formazione di alcol etilico, acido acetico e acetato di etile.

5) Muffa. Sapore riconoscibile dell'olio ottenuto da frutti nei quali si sono sviluppati abbondanti funghi e lieviti a causa di un lungo periodo di permanenza a terra o ammassate in contenitori od in ambienti umidi prima della frangitura, di cui si percepiscono l’odore ed il sapore caratteristico e tipico di una abitazione in disuso e con le pareti ammuffite. Il sapore di muffa, si evidenzia soprattutto nell'ultima parte del cavo orale, a volte confuso con il piacevole “pizzicore” tipico della piccantezza di un olio EVO di qualità.

6) Acqua di vegetazione. Le acque di vegetazione rappresentano la frazione acquosa presente naturalmente nelle olive. Il loro odore caratteristico, penetrante e che sa di fermentazione, viene trasferito all'olio a causa di una non perfetta separazione in frantoio, oltre che per l’effetto di un contatto prolungato dell’olio con le proprie acque di vegetazione che hanno subito un processo di fermentazione.

7) Cotto o stracotto. Sapore che si origina a seguito di un eccessivo e/o prolungato riscaldamento della pasta di olive in frantoio, specie se realizzata in condizioni termiche inadeguate.

8) Fieno – Legno. Sapore caratteristico di alcuni oli provenienti dalla lavorazione delle olive che hanno subito uno stress dovuto alla siccità. Questo difetto è assimilabile al sapore di legno o di fieno ed è facilmente riconoscibile ed assimilabile al sentore legnoso del guscio delle arachidi essiccate.

9) Umidità - Terra. Sentore caratteristico dell'olio ottenuto da olive raccolte con terra, oppure infangate o non lavate in maniera approfondita. L’olio ha l’odore ed il sapore di terra umida, fango o di umidità.

10) Verme. Difetto dell'olio ottenuto dalla estrazione da olive fortemente colpite da larve di mosca dell'olivo (Bactrocera oleae). L’olio ha il tipico sapore di verme, per molti versi simile al sapore del coriandolo percepito dalle persone che posseggono un gene che li rende ipersensibili all'aldeide, presente copiosamente nel coriandolo fresco.

Questa non ha la pretesa di essere una lista esaustiva che elenca gli innumerevoli difetti a cui può andare incontro un olio da olive nel corso della sua breve vita commerciale. Piuttosto è un breve e sintetico elenco che racchiude le 10 più comuni sgradevoli sensazioni che non devono mai esserci in un olio da olive di qualità. Tutto questo al fine di difendere il nostro cibo (e la nostra salute) da oli d’oliva scadenti, utilizzando al meglio olfatto e gusto per riconoscere e quindi evitare di utilizzare oli difettosi e di scarsissimo pregio.

Nel contempo vi lancio una ulteriore sfida: avete per caso riconosciuto qualcuno dei difetti elencati nell’olio di oliva che usate abitualmente? E se si, quale?